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Alberto Cipolla – Branches

di Caterina Wells Mauro · 30 Marzo 2018

 

Classe ’88, Alberto Cipolla dopo il precedente Soundtrack For Movies In Your Head, ci regala una nuova prova discografica in cui le radici intimiste e sognanti del primo disco si diramano alla ricerca di una maturità artistica che in Branches sembra aver trovato la giusta collocazione. Presentato come un album che esplora le sliding doors che accompagnano la nostra quotidianità («nella vita compiamo un’infinità di scelte che possono portarci da una o dall’altra parte del bivio», aveva dichiarato il compositore torinese a proposito della genesi del lavoro) il disco racconta attraverso la voce narrante del pianoforte, la solitudine e l’inquietudine che caratterizzano l’umanità 2.0 coniugando gli elementi naturali che ci circondano – non a caso tre tracce portano il titolo di Le Vent, The Wind e Il Vento – alle sonorità post romantiche di cui l’album si fa portavoce.

Unendo elegantemente il gusto per la musica classica a quello per l’elettronica e per elementi downtempo (No Regrets pt2), Branches è un’ode alla vita, alla malinconia e alle parti inesplorate dell’animo umano: un disco che ricorda la desolata Islanda di Sigur Rós e Ólafur Arnalds (Again), il romanticismo incantato di Yann Tiersen (No regrets pt1) e l’introspezione turbolenta di Anohni (Aria). Supportato dalla presenza di un quartetto d’archi, l’album continua la lezione impartita da Solo- Remains di Nils Frahm aggiungendo un pizzico di contemporaneità che prende vita negli episodi pop di Two Lovers e Foggy Day e nella prorompente Absence, che ricorda molto da vicino i Muse di Absolution.

Il risultato è un disco estremamente vintage eppure moderno, un’opera che per intenzione e attitudine esce dal filone indie italiano tanto in voga al momento per collocarsi all’interno di quel magico microcosmo esterofilo in cui figurano eccezioni made in Italy come Birthh e Dardust. Etereo, inafferrabile e onirico: un album da sognare ad occhi aperti.

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